A caccia di sapori unici sulle Strade del Vino di Maremma
La Strada del Vino di Montecucco, la più giovane delle tre designate in Maremma, si irradia partendo da una posizione centrale. Situati tutti in provincia di Grosseto, conosciuta sia per le sue bellissime spiagge che per i numerosi resti della civiltà etrusca, sono sette i comuni compresi in questa nuova area così denominata per la produzione dei vini di Montecucco: Cinigiano, Arcidosso, Castell’Azzara, Castel del Piano, Civitella Paganico, Campagnatico, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano e Semproniano. Un interessante connubio tra le tipiche colline maremmane, le aree archeologiche etrusche e le cime del Monte Amiata caratterizzano il paesaggio di questa Strada dei Sapori del sud della Toscana.
Breve panoramica storica
Le prime tracce di attività umana conducono dritte alla ”Grotta dell’Arciere”, che presenta disegni sulle pareti di uomini con arco e frecce risalenti al periodo che va dal 5000 al 3000 AC, a cui fecero seguito prima gli Etruschi e poi i Romani con la loro potente civiltà. I Longobardi arrivarono nel 6° secolo DC e si stabilirono presso l'Abbazia Benedettina di San Salvatore, da cui avevano - praticamente - il controllo assoluto della via Francigena.
I monaci accrebbero ben presto il loro potere e la loro importanza, grazie alla posizione privilegiata che erano riusciti ad aggiudicarsi - sulla strada che collegava Roma con il nord Europa - e ciò condusse alla crescita della famiglia Aldobrandeschi, che ben presto iniziò a costruire fortezze e castelli nell'intera zona. A tutto ciò, seguì un declino dell'importanza strategica non appena si passò sotto l'egida di Siena, che si aggravò ulteriormente con la soppressione del monastero nel tardo 1700, dovuto in parte ad una severa depressione economica, di cui si cominciò ad intravedere la fine solo nel XIX° secolo, grazie ad una ripresa dovuta all'estrazione di minerali trovati nelle montagne.
A questa storia aggiungi un territorio fertile e la presenza di acque sulfuree - che rendono la zona un'importante destinazione termale - ed otterrai un risultato "esplosivo" tutto da esplorare.
Itinerario nella Toscana dei Sapori
Si tratta più del territorio che del suo vino. La parte della Toscana, nella regione della Maremma, chiamata Montecucco è un'area che vanta vitigni di prim'ordine ed un'ampia gamma di prodotti tipici e sapori unici, sotto forma di olio d'oliva, miele, tartufi, funghi, zafferano e tutte quelle ricette tipiche locali che si sono guadagnate fama internazionale, oltre a rare specie animali come quella dell'asino dell'Amiata (chiamato il Miccio Amiantino), perfetto per la severa vita condotta dai minatori sulle montagne.
Ma dato che chiunque è curioso di sapere in merito a questo nettare degli dei, cominciamo con il vino - ed in particolare il DOC di Montecucco, ovvero quello insignito della "Denominazione di Origine Controllata".
La denominazione DOC denota un vino prodotto all'interno di una zona dai confini geografici ufficialmente delimitati, con vitigni o miscele di vitigni ben precisi e definiti dalla legislazione. I vini DOCG sono sottoposti a controlli ancor più rigidi.
Anche se la denominazione DOC di questi vini è alquanto recente (1998), la loro produzione ha radici ben lontane nella storia. L'area, infatti, è dedita alla produzione di vino sin dagli Etruschi, come testimoniato da diversi manufatti rinvenuti. Di seguito ti elencheremo i punti salienti dei vini del Montecucco, cosa aspettarsi in termini di sapore, colore e come abbinarli con i piatti tipici della zona.
Montecucco DOC
Montecucco Rosso si distingue per il suo colore rosso rubino ed il sapore armonico e asciutto. Il "Rosso" è prodotto con almeno il 60% di uve Sangiovese e fino ad un massimo del 100%, ad accezione del Malvasia Nera, Malvasia Nera di Brindisi e Aleatico. Il vino si abbina alla perfezione con le carni, come il vitello alla griglia, il maiale cotto al barbeque, il sugo di carne ed alcune specialità locali come l'anguilla, il baccalà ed il cacciucco.
Montecucco Sangiovese DOCG & Riserva DOCG è caratterizzato da un intenso colore rosso rubino, un sapore fruttato che, spesso, viene considerato armonico e asciutto; è composto per almeno il 90% di uve Sangiovese e richiede 12 mesi di invecchiamento in botti di legno e 4 in bottiglia. La Riserva è regolamentata allo stesso modo e deve osservare un periodo minimo di invecchiamento di 24 mesi in botti di legno e in bottiglia; è il vino ideale da abbinare con le carni rosse e piatti a base di selvaggina, particolarmente indicato anche per i primi di pasta come le pappardelle al cinghiale.
Montecucco Riserva ha, invece, un colore che si avvicina al rosso scuro, mentre il profumo è elegantemente coinvolgente, con un accenno di legno e tannino, aromi dolcemente fruttati e sapori intensi di ciliegie. Come il "Rosso DOC", anche la Riserva osserva le stesse regole, con una percentuale minima garantita del 60% di uve Sangiovese e l'aggiunta di un processo di invecchiamento di almeno 12 mesi in botte e 6 in bottiglia.
Montecucco Bianco, è di colore giallo paglierino; il profumo è delicato, fresco, con accenni leggermente fruttati, mentre al sapore risulta asciutto e vivace. E' composto del 40% di Vermentino e Trebbiano Toscano e si abbina con qualsiasi piatto classico di pesce, pasta e riso, così come con i formaggi leggeri e non troppo stagionati.
Montecucco Vermentino, oltre ad essere un vino eccellente da aperitivo, ben si sposa con piatti di pesce, zuppe, un semplice piatto di pasta così come con i formaggi stagionati dal sapore intenso, come il parmigiano. E' composto dell'85% di Vermentino ed è caratterizzato da un colore giallo paglierino, mentre il profumo è delicato, fresco e caratteristico ed il sapore asciutto, morbido e molto piacevole.
Montecucco Rossato, un altro vino da aperitivo: è composto dal 70% di Sangiovese e/o Ciliegiolo. Per i golosi, ci sono i Montecucco DOC Vin Santo e Vin Santo Occhio di Pernice, perfetti come vini da dessert per terminare in bellezza ogni pasto, composti rispettivamente dal 70% Trebbiano Toscano e/o Malvasia Lunga e/o Grechetto e 70% Sangiovese.
Olio exra vergine di oliva: Olivastra
Questo particolare tipo di olivo cresce sui pendii del Monte Amiata fino a 600 metri sul livello del mare ed è particolarmente resistente alle rigide temperature invernali e, se non viene curato, diventa immediatamente selvaggio tanto da dar vita a rami pieni di spine! Queste condizioni producono un olio dal sapore e dal profumo unico e con una percentuale relativamente alta di antiossidanti e vitamina E.
Caratterizzata da un'ampia chioma mediamente folta, l'Olivastra si distingue per la dimensione contenuta ed il colore delle sue olive, rossastre-violacee durante la fase di crescita e nere al momento della maturazione.
Vs.
IGP: Indicazione Geografica Protetta: non è una regolamentazione rigida com la DOP, la differenza sta nel fatto che, per certificare l'idoneità di un prodotto, soltanto parte del processo produttivo deve avvenire nella zona designata.
Il sapore tende verso il dolciastro, senza quella tipica nota amara dell'olio extra vergine, ma la caratteristica più distintiva è il retrogusto persistente e pungente non immediato, ma che prende vita poco a poco. L'area è attualmente certificata IGP, mentre la variante dell'olio extra vergine di oliva di Seggiano è stata riconosciuta come DOP.
Ti consiglio di segnarti le date della Sagra della Bruschetta in Montegiovi, vicino a Seggiano, verso la fine di settembre: se ti trovi da quelle parti, puoi assaggiare il sapore dell'olio locale in una delle più semplici - ma più buone - ricette che personalmente abbia mai sentito.
Castagne IGP del Monte Amiata
La bontà della "Castagna IGP del Monte Amiata" non è casuale, ma piuttosto il risultato di una serie di leggi e regolamentazioni designate a salvaguardare la specialtà di questo frutto!
Per esempio, queste castagne si trovano in un'area compresa tra i 350 e i 1000 metri sul livello del mare e devono necessariamente essere raccolte tra metà settembre e metà novembre. Non sorprende che questi castagni abbiano ricevuto l'attestazione IGP...ed un posto di privilegio nel cuore (e nella pancia) delle persone che in Maremma hanno sempre vissuto e che, durante i periodi di carestia e difficoltà economiche, hanno visto nella castagna la sopravvivenza della comunità.
Le prime testimonianze della coltivazione di castagni sul Monte Amiata risalgono addirittura a secoli prima della nascita di Cristo. Dal XIV° secolo, lo “Statuto dell'Amiata” ha emanato leggi severe per la preservazione e lo sfruttamento delle risorse legate ai castagni, sia per quanto riguarda la raccolta dei frutti, che l'utilizzo della legna.
Tre sono i tipi di castagne coltivate, tutti ricchi di sali minerali e vitamine, considerati, dunque, ottimi ingredienti nella dieta e nel menù di grandi e piccini, ed in particolare di coloro che conducono una vita molto attiva. Ed è proprio per questo che le castagne si ritrovano in molte ricette della cosiddetta “cucina povera” toscana, grazie alla loro abbondanza ed alle loro proprietà nutritive (non che, secoli addietro, sapessero che sono ricche di sostanze energetiche, ma sapevano che riuscivano a sfamare la popolazione!).
Le tre varianti sono marrone, cecio e bastarda rossa, di cui le ultime due sono assolutamente perfette per essere consumate come frugiate (ovvero arrosto!). Dai un'occhiata al nostro articolo (per ora in inglese) per altre ricette tipiche italiane con le castagne e la farina di castagno.
Questo delizioso frutto viene festeggiato in autunno in tutta la Toscana e non solo nelle località rurali, ma persino in città: troverai venditori di castagne arrosto ad ogni angolo delle strade e le classiche reti di castagne appena colte da fare bollite o arrosto in ogni supermercato, così come i sacchetti già pronti di farina da utilizzare per dolci e frittelle.
Pecorino Toscano DOP
A questo proposito, non possiamo fare a meno di parlare della transumanza, quella pratica – ovvero – che consiste nel muovere le greggi (in questo caso di pecore) da un pascolo all'altro seguendo cicli stagionali, solitamente in pianura durante l'inverno ed a quote più elevate durante l'estate.
Il compito di spostare numerose greggi di pecore dagli altipiani del Casentino ai bassipiani della Maremma era un lavoro a tempo pieno e costituiva uno dei pilastri dell'economia locale; l'itinerario passava da città come Paganico, considerata la “porta di accesso” alla Maremma e fu stabilito già nel XIII° secolo, proprio per facilitare il commercio e gli scambi da una località all'altra. Altro borgo interessato dall'itinerario della transumanza era Sasso d'Ombrone, il cui nome medievale era Sasso di Maremma, sorto intorno all'unico incrocio praticabile del fiume Ombrone e diventato, di conseguenza, un punto di riferimento importante. Un'altra località ancora era Dogane, che richiedeva – come pagamento dei diritti di pascolo sui propri sentieri – latte e derivati, come il formaggio.
Il pecorino toscano DOP, fatto con il latte di pecora (come si evince dal nome), può essere sia fresco, che semi-stagionato e stagionato, tutto prodotto secondo le regolamentazioni di un severo disciplinare. Il pecorino toscano è famoso soprattutto per il suo sapore dolce e delicato, che sembra evocare i profumi dei pascoli della Maremma. Per ulteriori informazioni sul pecorino, dai uno sguardo al nostro articolo (per ora in inglese soltanto), dove abbiamo descritto i vari tipi di formaggio, i metodi di produzione e qualche suggerimento su come portarlo a casa. Se vuoi degustarlo fresco ed appena fatto, ti consiglio di fermarti presso il Caseificio Manciano o Caseificio Maremma.
Carne di Manzo IGP
I bovini sono sempre stati considerati dall'uomo un aiuto necessario ed instancabile nei campi ed il paesaggio della Maremma è stato spesso lavorato dovendo fronteggiare condizioni davvero avverse. La presenza documentata del Maremmano (tipo di mucca locale) risale addirittura al 762; il nome, una variante di “Marittima” fu documentato da Guittone d'Arezzo nel 1294, conferendo importanza a questo particolare tipo di mucca.
Il Maremmano, con tutta probabilità orginario dell'Asia, è un eccellente esempio di animale capace di adattarsi a condizioni davvero ostili; nonostante, nel corso dei secoli passati, l'uomo abbia cercato di creare “una nuova versione della razza ancora migliore” - sostituendola con altre – l'originale reclama tutt'oggi il suo diritto e la sua posizione sul campo...e sul menù!
Una visita alla Tenuta di Paganico ti darà la possibilità non solo di vedere da vicino quest'animale possente, ma anche di comprarne la pregiata carne direttamente dal produttore.
Ricette speciali
Non è una sorpresa che anche la Maremma – come ogni località della Toscana – abbia le proprie ricette tipiche locali, molte delle quali sono preservate gelosamente e segretamente tramandate di generazione in generazione. Di seguito te ne sveliamo alcune, che hanno un posto particolare nel cuore dei maremmani.
Biscotto Salato di Roccalbegna
Nonostante sia stato riscoperto solo di recente, nel 1982, le origini di questo biscotto salato, saporito e con la forma di uno spretzel, risalgono al Medioevo, e non è tipico soltanto nella città di Roccalbegna, ma in realtà di tutta la Maremma. Gli ingredienti del biscotto sono pregiati – soprattutto l'olio di oliva – e questo sta a significare che veniva preparato soltanto per le grandi occasioni.
La ricetta fa uso soltanto di ingredienti reperibili in loco (farina, olio extra vergine di oliva, anice, vino bianco, sale), per creare dei biscotti che tendono a rimanere freschi e fragranti a lungo, perfetti sia per colazione, che come conclusione di pranzi e cene.
Secondo varie testimonianze orali, era usanza marcarli con chiavi ed altri utensili prima di cuocerli in forno, in modo che si potessero riconoscere quando venivano portati ai villaggi dai diversi forni a legna presenti.
In città, ci sono ancora due forni che preparano queste deliziose specialità seguendo il metodo tradizionale; se ti trovi in zona verso agosto, fermati alla Sagra Del Biscotto Salato di Roccalbegna, dove non soltanto potrai assaggiare questi particolari biscotti, ma anche altre specialità tipiche locali.
Zuppa arcidossina
Qui ci troviamo di fronte ad un dilemma:è venuta prima la “zuppa arcidossina” o l'“acquacotta”?
Non che faccia tutta questa differenza quando si è seduti a tavola, assaporandone il semplice, ma invitante connubio di aromi e profumi. Molti considerano questa zuppa l'antenata della famosa Acquacotta Maremmana (un piatto tipico di quando ci si spostava per la transumanza, quando non c'era molto altro da mettere nel pentolino da viaggio tranne l'acqua).
Servita, secondo tradizione, in forma molto liquida e versata su fette di bane grigliato, era uno dei piatti principali per coloro che avevano pochi ingredienti a disposizione per cucinare e che, quindi, usavano ciò che meglio riuscivano a reperire: principalmente spinaci e verdure a foglia verde, pane raffermo e formaggio.
Ricciolina “Badegna”
Lo spreco non era assolutamente concesso in una comunità dove fame e povertà erano sempre in agguato. E, sempre secondo la tradizione, questo delizioso dessert - le cui origini risalgono non lontano all'Abbazia di San Salvatore, deriva dall'antico proverbio "Il risparmio è il miglior guadagno".
L'impasto base, preparato in modo tradizionale lavorando farina, burro, tuorli d'uova, lievito e zucchero, racchiude un ripieno di mandorle e cioccolata. L'innovazione sta nella guarnizione: la storia ci dice che “Nonna Beppa” (insieme ai suoi aiuto-cuochi Dina, Ada e Luigina), scelse di ricoprire il dolce con una meringa preparata con i bianchi d'uova rimasti aggiungendo un "vortice" decorativo di cioccolata. Così, invece di usare altro impasto per la guarnizione, riuscì ad utilizzare tutti gli ingredienti senza buttar via niente, nemmeno una goccia di ciò che di prezioso aveva a disposizione. Il risultato fu un vero successo e Nonna Beppa si conquistò un posto nella storia.